‘Report’, Calciopoli e il revisionismo all’italiana: storia di un’ordinaria mistificazione!
E’ uno strano Paese, il nostro.Ci sono fatti, avvenimenti storici, tragedie che dopo decenni ancora non abbiamo il coraggio di affrontare.
Processi che non finiscono mai, insabbiamenti, ricostruzioni fuorvianti o parziali, errori giudiziari, omissioni, verità che tutti sospettano ma che, a distanza di decenni, rimangono indicibili.
L’assassinio di Aldo Moro, le stragi di Bologna, Piazza Fontana, Ustica, la sparizione di Emanuela Orlandi, la morte per “malore attivo” di Giuseppe Pinelli: una lista lunghissima di tragedie.
E poi, per una strana nemesi delle nostre coscienze e del nostro livello di maturità democratica, ci sono fatti di cui invece sappiamo praticamente tutto quel che c’è da sapere, situazioni su cui la storia ha emesso un verdetto incontrovertibile e processi che hanno completato con sentenze unanimi i vari gradi di giudizio, che però ci piace riconsiderare, rimettere in discussione, rileggere in ogni senso possibile, come se lo scorrere del tempo potesse aver alterato il corso di quegli eventi.
Capita così che questa moda revisionista induca il Presidente del Senato a definire l’attentato di via Rasella “una pagina poco nobile della Resistenza, in cui morirono anziani musicisti”.
Osserviamo addirittura un procuratore generale rimettere in discussione l’impianto accusatorio di una fatto di cronaca nera di 17 anni fa – la strage di Erba – già passato attraverso i tre gradi di giudizio, con il coinvolgimento di 26 giudici che non hanno avuto dubbi nell’emettere il verdetto di colpevolezza dei due accusati.

E’ in questo alveo di italico revisionismo e manipolazione che abbiamo visto andare in onda la puntata di Report dedicata al riesame di quanto avvenuto nello scandalo Calciopoli, di 17 anni fa.
Annunciata come uno scoop dal contenuto dirompente, che avrebbe portato a riscrivere interamente le verità di quella pagina vergognosa del calcio italiano, la trasmissione si è rivelata uno sterile e inconcludente guazzabuglio di fatti irrilevanti, già noti o arbitrariamente ricostruiti, e di illazioni da bar riportate senza alcun fondamento probatorio.
Tale è per esempio, secondo la ricostruzione di Paolo Bergamo – l’ex designatore arbitrale coinvolto nello scandalo – la supposta manovra architettata da Moratti, Facchetti e J. Elkann per spodestare la triade al vertice della Juventus (Moggi, Giraudo e Bettega) per portare alla presidenza lo stesso rampollo di casa Agnelli, invece che suo cugino Andrea: i fatti dicono che lo stesso Agnelli fu portato alla presidenza proprio da J. Elkann, e ci è rimasto fino al recente nuovo scandalo del club bianconero.
L’altra sensazionale rivelazione di Bergamo consiste in una cena, organizzata nell’estate 2005, con Moratti e le rispettive consorti, in cui l’ex patron nerazzurro si sarebbe spinto a chiedere “perchè gli arbitri ce l’hanno tanto con l’Inter?”.

Sbalorditivo! Il protagonista della puntata è però Moggi, con la sua chiavetta di 170mila intercettazioni telefoniche “misteriosamente tagliate” dai giudici del processo penale: ne sentiamo parlare da mesi, e iniziavamo a sospettare che essa contenesse anche le verità mai svelate sull’assassinio di JFK.
Restiamo piuttosto delusi quando scopriamo che l’unica intercettazione significativa (…) è un colloquio tra Bergamo e un arbitro, dopo un match tra Inter e Juve, in cui i due si compiacciono del fatto che non vi siano state polemiche (i nerazzurri hanno vinto, nonostante l’epulsione del loro portiere).
Segue una serie di intercettazioni, fatti e aneddoti arcinoti, in cui compaiono numerosi personaggi dello sport, ma anche della politica (Berlusconi, fra i tanti) in cui, più che parlare di argomenti che possano provare l’innocenza di Moggi o della Juve, vengono evidenziate le responsabilità di altre società, come Milan, Lazio, Fiorentina.
Società che peraltro – la trasmissione omette di ricordarlo – vennero giudicate e condannate per quei fatti con significative penalizzazioni.
Il tutto viene introdotto addirittura, dalla stessa voce narrante della trasmissione, dall’ipotesi secondo cui il processo penale di Napoli sarebbe stato avviato per l’iniziativa di un magistrato-tifoso (“visto spesso sulle tribune del San Paolo”), desideroso di vendicare le vicissitudini della propria squadra del cuore (fattispecie, questa, che peraltro abbiamo visto ricorrere anche di recente nell’inchiesta Prisma).

Vengono ripresentate situazioni di cui già si sapeva tutto, come i colloqui di Meani con Paparesta, i movimenti di Baldini per attivare i Carabinieri, e soprattutto, l’attività di illecito dossieraggio di Tavaroli, l’ex dirigente Telecom. Riguardo a quest’ultimo, Moggi dichiara: “Moratti, nell’incontro con Tavaroli e Facchetti, disse di lasciarmi fuori perché ero un amico, ma fu Facchetti a spingere per fare avere i miei numeri”.
Piuttosto che chiamare in causa persone che oggi non ci sono più, come Facchetti e Guido Rossi, Moggi avrebbe potuto far valere tutti questi argomenti nel processo sportivo (che ne comminò la radiazione) e soprattutto in quello penale, in cui, diversamente da altri imputati, non rinunciò alla prescrizione, dopo la condanna in primo grado a 5 anni per associazione a delinquere.
Ma gli autori della trasmissione sconfinano addirittura nel falso, quando dichiarano che nessuna delle partite esaminate nel processo furono effettivamente condizionate dagli arbitraggi: a mero titolo di esempio basterebbe ricordare la famigerata Juve-Parma del 2000, vinta dai bianconeri per 1-0 grazie all’inspiegabile annullamento della rete di Cannavaro, a opera di De Santis; ma altrettanto si potrebbe dire di numerose altre gare vinte dalla Juventus, con l’arbitraggio dello stesso De Santis, già agli atti dell’inchiesta.
A noi tutto questo sembra, come ha giustamente sottolineato Gianfelice Facchetti (figlio di Giacinto), l’ennesimo tentativo di mistificare e “buttarla in caciara”, secondo il consolidato e italianissimo clichè del “tutti colpevoli, nessun colpevole”.
D’altra parte non possiamo fare a meno di notare che la puntata di Report è andata in onda due giorni prima del giudizio d’appello del processo-plusvalenze, in cui la Juventus è imputata e chiede la riduzione della sanzione di 15 punti.
Un caso, senz’altro.
Di Diego De Mattia
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