Napoli, dal fallimento al trionfo: lo scudetto di una città atteso 33 anni [VIDEO]
Dopo 33 anni d’attesa il Napoli realizza il sogno dei suoi tifosi e vince il terzo scudetto della sua storia.
Tanto è passato dal secondo titolo di Maradona e compagni, che, per i partenopei, fu il preludio a un’epoca di poche gioie e molti dispiaceri, culminati con la retrocessione in B e poi con il fallimento del club, nel 2004.
Da lì Aurelio De Laurentiis avviò la rinascita della società, costretta a ripartire dalla serie C.
Anni di crescita graduale ma continua, senza spese folli ma con una gestione attenta e sempre ponderata sulle effettive capacità di generare ritorni e tenere il bilancio in equilibrio, vincendo molti scudetti del conto economico prima di ottenere quello sul campo.
Un modello societario, quello del Napoli, di cui può andar fiero De Laurentiis, che dimostra come si possano raggiungere certi traguardi senza ricorrere a pericolose alchimie contabili e senza spendere centinaia di milioni, per poi ritrovarsi in pochi anni alla canna del gas.
In 19 anni il Napoli è passato dall’acquisto di Montervino – il primo capitano di quella squadra che si allenava con i palloni comprati al supermercato – a Kvaratschelia e Osimhen, passando per Sosa, Hamsik, Lavezzi, Cavani, Higuain, Insigne, Mertens e tanti altri campioni.
Anni in cui, dopo esser tornato in serie A, il Napoli è stato forgiato da grandi allenatori come Mazzarri, con cui ha alzato i primi trofei e che l’ha riportato in Champions League; Benitez, che gli ha restituito una dimensione e una mentalità europea; Sarri, con cui è arrivato due volte secondo a sfiorare lo scudetto (perso per i fatti di Inter-Juve…).
Fino a Spalletti che, ricevuto il testimone dopo i fallimenti di Ancelotti e Gattuso, in due anni ha creato un meccanismo perfetto, una squadra che vince e diverte, che va sempre in campo aggredendo ogni avversario e impone il proprio gioco a chiunque

Spalletti, l’eterno secondo, che aveva condotto una bellissima carriera fatta di ottimi piazzamenti (con i soli successi nel campionato russo), stavolta ha staccato tutti, stravincendo un titolo in una piazza in cui uno scudetto ne vale come dieci vinti a Torino o Milano.
Dopo una prima stagione interlocutoria, in cui comunque ha lottato a lungo per il primato e ha chiuso con un ottimo terzo posto, che gli ha restituito l’accesso all’Europa che conta, il Napoli ha gettato le basi per questo trionfo nell’estate scorsa, quando ha rinunciato a campioni come Insigne, Mertens e Koulibaly, per acquistare illustri sconosciuti come Kim e Kvara, rivelatisi immediatamente grandissimi colpi di mercato.
Insieme a loro Raspadori e il cholito Simeone, fondamentali soprattutto nei primi mesi della stagione. Erano i tasselli che mancavano per rendere l’ingranaggio perfetto, per consentire anche a quelli che erano a Napoli da diversi anni di esprimersi al meglio.

Pensiamo a Lobotka, per esempio: passato da dimenticato panchinaro a dominus incontrastato del centrocampo; a Zielinsky, di cui abbiamo sempre conosciuto la classe, ma non la attuale determinazione e voglia di essere decisivo in ogni singola azione; allo stesso Osimhen, plasmato e trasformato da cavallo imbizzarrito a purosangue infallibile.
Ma tutto l’organico degli azzurri è stato determinante per raggiungere questo successo: Lozano, Politano, Anguissa, Ndombele, Mario Rui, Meret, Elmas, Rahmani, Juan Jesus, e sicuramente ne dimentichiamo qualcuno.
Un Napoli “ingiocabile” per chiunque, che ha dominato il campionato dalla prima giornata, assicurandosi presto un margine di punti e una dimensione di superiorità tale da convincere tutti già a novembre che lo scudetto non sarebbe potuto sfuggirgli.
Tra gli snodi fondamentali di questa cavalcata trionfale ricordiamo le due vittorie all’Olimpico contro le romane, intervallate tra di loro dal successo a San Siro contro il Milan.
E poi la travolgente “manita” rifilata alla Juve, arrivata pochi giorni dopo l’unica sconfitta del girone d’andata con l’Inter, che aveva riacceso una flebile speranza tra gli inseguitori.

Fino ad arrivare al match di ritorno contro i bianconeri, la definitiva consacrazione di questo storica stagione. Tra tanti successi, resta, inevitabile, un filo di amarezza per le sconfitte in Coppa Italia e, soprattutto, in Champions col Milan: anche la campagna europea era stata splendida fino a quel punto, e sicuramente l’anno prossimo si potrà ritentare.
Ma ci sarà tempo di pensare al futuro. Adesso via ai festeggiamenti, con la certezza di avere una squadra di campioni che, per età ed esperienza nel nostro campionato, ancora non hanno espresso del tutto il proprio potenziale.
Se i primi due erano stati gli scudetti del Napoli di Maradona, questo è lo scudetto di un club che, dal Presidente all’ultimo dei magazzinieri, ha saputo rappresentare la maturazione di tutto l’ambiente-Napoli.
E allora un pensiero va anche lassù: a pochi mesi dalla conquista della “tercera mundial” dell’Argentina, il terzo scudetto del Napoli non può non farci pensare che, anche stavolta, sia stata la mano di Dio.
Diego De Mattia
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