Caro Mou ora basta con gli alibi, anche con la societa’. La Roma non ha mai pianto e mai piangera’

“Mourinho uomo vero in un calcio finto”. Recitava così il primo striscione esposto all’Olimpico dedicato a Mou. E non era dei romanisti, ma dei loro dirimpettai biancocelesti.

Era il 2010, la sua Inter era in testa, due punti avanti alla Roma di Ranieri, e, per comprovare che quello fosse proprio un calcio finto, i tifosi della Nord avevano convinto addirittura i giocatori della Lazio a lasciar vincere gli avversari, il famoso “Scansamose”.

Gli interisti ringraziarono e si imposero per 2-0 praticamente senza giocare, e conservarono fino alla fine quei due punti, che significarono scudetto.

Era quella la stagione del triplete, ma soprattutto delle “manette” di Mou, che già allora vedeva cospirazioni arbitrali intorno alla sua squadra, evidentemente orchestrate proprio dalla Roma, che contendeva il titolo al portoghese.

Sono passati tanti anni da allora, i suoi nemici di ieri – i romanisti – sono diventati i suoi più accaniti sostenitori, e lo trattano con una devozione messianica che non ha precedenti a Roma (non ne hanno beneficiato neanche personaggi come Liedholm, Capello o Ranieri)

Il refrain è sempre lo stesso: Mourinho e la Roma vessati dagli arbitri e dal Palazzo. In Italia e in Europa. Non c’è ormai frase del portoghese che non abbia come oggetto o come destinatario un arbitro.

Prima, durante e dopo ogni partita (soprattutto quando non si vince). Eppure, noi siamo andati a controllare i numeri, e dicono tutt’altro.

Raccontano che la Roma in questi due anni ha beneficiato di un rispetto da parte dei fischietti che raramente – o mai – aveva avuto nella sua storia.

L’anno scorso è prima nella classifica dei rigori a favore (10); soltanto 3 quelli fischiati contro (solo Napoli e Lazio – 2 ciascuno – ne hanno avuti meno).

Ma soprattutto, la Roma è terzultima nella lista dei cartellini ricevuti, e ha il miglior bilancio della serie A tra quelli sventolati ai suoi avversari e quelli ricevuti.

E anche quest’anno sembra che non vada diversamente: nelle prime tre giornate, su 3 espulsioni comminate in tutto il campionato, 2 hanno riguardato avversari della Roma.

È la rappresentazione numerica dell’evidenza di ogni partita della Roma, in cui vediamo Cristante, Mancini, Pellegrini e altri impegnati continuamente a chiedere cartellini per gli avversari.

La strategia dell’accerchiamento da sempre percorsa, l’amato “rumore dei nemici”. Una costante, questa, di tutta la carriera di Mou, a cui qualcuno dovrebbe ricordare – quando parla di fischietti – che i suoi più grandi successi sono stati segnati da clamorose sviste arbitrali a suo favore, come il gol in offside chilometrico di Milito nella semifinale contro il Barcellona, o come il gol di Scholes annullato per inesistente fuorigioco nel match tra Porto e Manchester Utd, pietra miliare dell’epopea dello Special One.

Ma nella costante ricerca di alibi del mago di Setubal non ci sono solo gli arbitri. Negli ultimi tempi, si sono fatti sempre più velenosi gli attacchi alla società, colpevole di non proteggerlo adeguatamente, e soprattutto, di non comprare tutti i giocatori che il tecnico vorrebbe.

E anche qui, bisognerebbe fargli presente che mai, nella sua storia, il club ha potuto disporre delle risorse economiche impiegate negli ultimi 3 anni di mercato: dalla prima estate, in cui furono spesi (male, ma questa non può che essere anche responsabilità di Mou) 100 milioni, alla seconda in cui arrivarono campioni come Dybala, Matic, Belotti e Wijnaldum, fino al presente, che ha visto l’ingresso di Lukaku, Renato Sanches, Aouar, Paredes e altri.

Il tutto, a fronte di campioni regalati alla concorrenza, come Dzeko, Mkhitaryan, Pedro (che hanno fatto le fortune di Inter e Lazio), o svenduti per pochi euro, come Veretout, Pau Lopez, Borja Majoral.

Nello scorso campionato la Roma aveva il terzo monte ingaggi della serie A, molto superiore a quello di Napoli e Lazio, tra le altre; la Champions sarebbe stata il minimo sindacale a fronte di quello sforzo (e della squalifica alla Juve), ma sappiamo tutti com’è andata.

Una squadra sempre lontana dalle posizioni di vertice, mai in grado di esprimere un’identità di gioco, quasi sempre sconfitta e umiliata negli scontri diretti: 3 derby su 4 persi, 2 punti in 5 partite con il Milan, 4 sconfitte su 5 contro l’Inter, 2 punti in 4 gare con il Napoli.

E in Coppa Italia è andata anche peggio, se possibile, con le due eliminazioni al secondo turno (con inter e Cremonese!).

Gli unici sorrisi si sono visti in Europa, con la finale di EL e la vittoria della Conference, una competizione oggettivamente frequentata da squadre di piccolo cabotaggio.

Sono stati due anni in cui il portoghese ha chiamato in ballo tutto e tutti per giustificare le sue défaillance: dalla rosa corta (accusata dopo un vergognoso 6-1 con il Bodo, una squadra di dopolavoristi norvegesi), ai raccattapalle di Udine (responsabili di perder tempo in un 4-0 con i friulani), passando per malasorte, singoli giocatori messi alla berlina per scarso impegno, e, ovviamente, le squadre arbitrali al completo, con la “chicca” del quarto uomo Serra, accusato di irriverenza in una serata in cui la Roma perdeva per la seconda volta in stagione contro la Cremonese, gia’ virtualmente retrocessa.

A fronte di questo infinito scusario, mai una volta abbiamo sentito lo Special One parlare delle proprie colpe. Troppo, evidentemente. Ma non per i romanisti, che continuano a tributargli amore e fedeltà incondizionata.

E allora ci piace chiudere questo pezzo senza originalità, con una frase che dovrebbe essere la bussola per chiunque entri a Trigoria, soprattutto perche’ pronunciata in anni in cui in serie A si respirava un’aria viziata dai compromessi, sempre a sfavore della “Magica”.

Dino Viola, indimenticato Presidente del secondo scudetto, dopo la piu’ amara sconfitta per la storia giallorossa nella sfortunata finale di Coppa Campioni del 1984, disse: “la Roma non ha mai pianto e mai piangerà! Perche’ piangono i deboli. I forti non piangono mai”

E allora, caro Mou, ripartiamo senza piu’ alibi e polemiche. Perché alla fine,”si stai ‘n bolletta noi t’aiutamo, però da micchi nun ce passamo!”

Di Diego De Mattia

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